Sentenza n.47 del 1986

 

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SENTENZA N. 47

ANNO 1986

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. Livio PALADIN, Presidente  

Prof. Antonio LAPERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL’ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE,Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 151, lettera d), del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 (approvazione del testo unico delle leggi sulle imposte dirette) in relazione agli artt. 63 e 24 della legge 5 gennaio 1956, n. 1, promosso con ordinanza emessa in data 9 dicembre 1977 dalla Commissione tributaria centrale di Roma sui ricorsi riuniti proposti dall'Ufficio distrettuale delle imposte dirette di Gallarate, iscritta al n. 368 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 285 dell'anno 1979;

visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 22 gennaio 1986 il Giudice relatore Giuseppe Ferrari.

Ritenuto in fatto

1. - Con ordinanza emessa il 9 dicembre 1977 la Commissione tributaria centrale ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 76 Cost., per eccesso di delega rispetto agli artt. 63 e 24, legge 5 gennaio 1956, n. 1 (norme integrative della legge 11 gennaio 1951, n. 25, sulla perequazione tributaria), dell'art. 151, lettera d), del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 (approvazione del testo unico delle leggi sulle imposte dirette), nella parte in cui assoggetta a separata tassazione, ai fini dell'imposta sulle società, le aziende dei comuni che non gestiscono di fatto in regime di monopolio servizi di interesse pubblico, ma operano in regime di libera concorrenza.

2. - Premesso che la controversia concerneva la legittimità degli accertamenti operati, ai fini dell'imposta sulle società relative agli anni dal 1966 al 1969, dall'Ufficio distrettuale delle imposte dirette di Gallarate, il giudice a quo espone che, secondo la disciplina dettata dall'art. 2, r.d. 15 ottobre 1925, n. 2578, le aziende municipalizzate, anche se prive di personalità giuridica, ma dotate solo di autonomia patrimoniale, si configuravano come soggetti passivi di imposizione tributaria. E ciò, in conformità del principio di tassazione separata per ogni singola azienda di cui all'art. 13, secondo comma, legge 8 giugno 1936, n. 1231, cui facevano riscontro gli artt. 2 e 8, d.P.R. 5 luglio 1951, n. 573, sulle dichiarazioni annuali dei redditi. A tale quadro normativo - continua l'ordinanza - fece riferimento la legge 6 agosto 1954, n. 603 che, all'art. 1, istituendo l'imposta sulle società, richiamò per l'individuazione dei soggetti passivi gli enti di cui al menzionato art. 8 del d.P.R. n. 573 del 1951, e dunque assoggettò al tributo anche le aziende che, come quella in questione, fossero state istituite da altri enti con finalità proprie ed autonomia di gestione e di bilancio.

3. - Senonché, la successiva legge 5 gennaio 1956, n. 1 (norme integrative della legge 11 gennaio 1951, n. 25, sulla perequazione tributaria), introdotto il "principio della unicità della tassazione per enti anziché per separate aziende", abrogò il menzionato art. 13, secondo comma, della legge n. 1231 del 1936 (art. 24) ed autorizzò il Governo ad emanare testi unici per le imposte dirette, eliminando le disposizioni in contrasto con i principi contenuti nella legge n. 25 del 1951 e con la stessa legge n. 1 del 1956 (art. 63). In esecuzione di tale delega, fu emanato il testo unico delle imposte dirette di cui al d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, il cui art. 145 identificò i soggetti passivi dell'imposta sulle società in quelli tassabili in base al bilancio. L'art. 151, lettera d), peraltro, dettando una norma analoga a quella di cui all'art. 3, n. 3, della precedente legge n. 603 del 1954, escluse dall'imposta in esame, tra le aziende dello Stato, delle regioni, delle province e dei comuni, solo quelle che gestissero di fatto in regime di monopolio servizi di interesse pubblico, in tal modo riconoscendo, in contrasto col principio della unicità della tassazione per enti introdotto dalla legge di delegazione, la soggettività tributaria delle aziende in esame separata da quella degli enti cui fanno capo allorché il servizio pubblico non fosse esercitato in regime di monopolio ma di libera concorrenza. Da qui il dubbio sulla violazione dell'art. 76 Cost. a causa del contrasto tra la disciplina adottata con la disposizione denunciata ed i principi e criteri direttivi fissati nella legge di delegazione, fra cui quello "concernente la unicità di tassazione per enti e non più per aziende separate". É incidentale in ordinanza l'affermazione che la precedente lettera c) dell'art. 151 esclude dalla stessa imposta gli enti di appartenenza.

4. - Il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto in giudizio tramite l'Avvocatura dello Stato, ha chiesto che la questione venga dichiarata manifestamente infondata.

In atto di intervento si nega anzitutto che l'abrogazione dell'art. 13, legge 8 giugno 1936, n. 1231 ad opera dell'art. 24, legge 5 gennaio 1956, n. 1, abbia prodotto il risultato dell'introduzione del "principio della unicità di tassazione per enti e non più per separate aziende"; quantomeno non ai fini dell'imposta sulle società, posto che l'art. 13 della legge n. 1231 del 1936 riguardava i redditi di ricchezza mobile e non l'imposta sulle società, istituita soltanto con legge 6 agosto 1954, n. 603.

In secondo luogo, si osserva che la censura mossa dal giudice a quo viene sostanzialmente prospettata nei termini di una pretesa disparità di trattamento fra le aziende dei comuni che esercitano servizi di interesse pubblico a seconda che operino in regime di monopolio ovvero di libera concorrenza. E si afferma che l'assoggettamento a tributo nella seconda ipotesi, lungi dall'integrare un'irragionevole disparità di trattamento, vale invece proprio ad evitare che sia riservato lo stesso trattamento ad attività economiche che vengono esplicate in diverse situazioni di mercato, posto che il riconoscimento di un'agevolazione ad un'azienda municipalizzata che si pone in concorrenza con i privati imprenditori integrerebbe un trattamento privilegiato nei confronti di questi ultimi sicuramente ingiustificabile.

Considerato in diritto

1. - L'art. 151, lettera d), del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 (testo unico delle leggi sulle imposte dirette) dispone esplicitamente l'esenzione dall'imposta sulle società esclusivamente per le aziende dei Comuni (oltre che dello Stato, delle Regioni e delle Province) che "gestiscono di fatto in regime di monopolio servizi di interesse pubblico". Argomentando a contrario, l'ufficio distrettuale delle imposte dirette di Gallarate reputò che, quindi, fosse assoggettata all'imposta in parola la farmacia municipalizzata del Comune di Somma Lombardo, in quanto condotta, viceversa, in regime di concorrenza.

Secondo la Commissione tributaria centrale, la disposizione applicata nella specie dall'ufficio delle imposte dirette sarebbe costituzionalmente illegittima "in riferimento all'art. 76 Cost. per eccesso di delega rispetto agli artt. 63 e 24 della legge 5 gennaio 1956, n. 1" (norme integrative della legge 11 gennaio 1951, n. 25 sulle perequazioni tributarie). Vero é - si legge in ordinanza - che sin dal 1925, e precisamente in virtù dell'art. 2 del regio decreto n. 2578 del 15 ottobre di detto anno (testo unico della legge sull'assunzione diretta dei pubblici servizi da parte dei Comuni e delle Province), le aziende municipalizzate con autonomia patrimoniale, ancorché prive di personalità giuridica, e gestite in regime di concorrenza, erano considerate soggetti passivi di imposizione tributaria, ma vero altresl' che la disciplina prevedeva anche la tassazione separata per aziende, stabilita con l'art. 13, cpv, della legge 8 giugno 1936, n. 1231 (in tema di interpretazioni e modificazioni alle leggi sulle imposte dirette) e ribadita, sia con gli artt. 2 e 8 del regio decreto 5 luglio 1951, n. 573 (testo unico delle norme sulla dichiarazione unica annuale dei redditi), sia con l'art. 1 della legge 6 agosto 1954, n. 603 (istituzione di un'imposta sulle società e modificazioni in materia di imposte dirette sugli affari). Senonché - soggiunge il giudice rimettente -, la legge 5 gennaio 1956, n. 1 che autorizzava il Governo ad emanare testi unici per le diverse imposte dirette, ma col preciso onere di eliminare "le disposizioni in contrasto con i principi contenuti... nella presente legge" (art. 63), abrogando esplicitamente "il secondo comma dell'art. 13 della legge 8 giugno 1936, n. 1231", aveva travolto il principio della tassazione separata per aziende, e perciò introdotto implicitamente l'opposto principio dell'unicità della tassazione per enti, e non già per aziende separate. Ne consegue - conclude l'ordinanza - che la disposizione di cui all'impugnato art. 151, lettera d), del d.P.R. n. 645 del 1958 assoggettando all'imposta sulle società le aziende municipalizzate gestite in regime di concorrenza, é viziata per eccesso di delega, in quanto il legislatore delegato ha reintrodotto il principio della tassazione separata, che il legislatore delegante aveva soppresso.

2. - La questione non é fondata.

Oggetto della controversia che ha dato motivo alla censura di illegittimità costituzionale é l'assoggettabilità, o meno, all'imposta sulle società delle aziende dei Comuni (oltre che dello Stato, delle Regioni e delle Province), le quali gestiscano in regime di concorrenza servizi di interesse pubblico. Il giudice a quo ritiene che, avendo l'art. 24 della legge n. 1 del 1956 abrogato l'art. 13, secondo comma, della legge n. 1231 del 1936, e con ciò sostituito il principio dell'unicità della tassazione al previgente principio della tassazione separata per aziende - in base al quale ultimo appunto queste venivano considerate soggetti di imposizione tributaria - tali aziende siano esenti dalla imposta in parola. La deduzione é inattendibile: a parte il rilievo che lo stesso impugnato art. 151, lettera c), stabilisce espressamente l'esenzione per i Comuni - il che sembra sottrarre consistenza alla censura di violazione dell'asserito principio della unicità della tassazione -, appare decisiva in contrario la constatazione che l'imposta sulle società é stata istituita nel 1954 e che, pertanto, é scarsamente plausibile l'opinione, secondo cui tale imposta sarebbe compresa nella previsione di una legge del 1936, riguardante l'imposta di ricchezza mobile. Tanto più che risulterebbe di dubbia ragionevolezza la disparità di trattamento che ne deriverebbe fra le aziende municipalizzate gestite in regime di libera concorrenza e quelle private. Conseguentemente, poiché l'abrogazione dell'art. 13, secondo comma, della legge n. 1231 del 1936 non ha comportato l'esenzione indiscriminata dall'imposta sulle società per tutte le aziende municipalizzate, la legge delegata non risulta contrastare con la legge di delegazione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 151, lettera d), del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 (testo unico delle leggi sulle imposte dirette), sollevata in riferimento all'art. 76 della Costituzione per eccesso di delega rispetto agli artt. 63 e 24 della legge 5 gennaio 1956, n. 1, dalla Commissione tributaria centrale (reg. ord. n. 368/1978), nella parte in cui assoggetta a separata tassazione, ai fini dell'imposta sulle società, le aziende dei Comuni che non gestiscono di fatto in regime di monopolio servizi di interesse pubblico.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 marzo 1986.

 

Livio PALADIN - Antonio LAPERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL’ANDRO – Gabriele PESCATORE

 

Depositata in cancelleria il 12 marzo 1986.